Pagani “Utopia”, nel futuro guardando al passato

Di origine greca, il termine utopia ha trovato fin dall’antichità un ampio uso negli ambiti filosofico e letterario che ne hanno via via affinato la definizione e specificato il significato. I filosofi e gli scrittori che si sono accostati a questo tema lo hanno in effetti sempre più spesso correlato a una forma di fuga rispetto al senso di angoscia provato dagli esseri umani nei confronti di una società caratterizzata dal predominio della tecnica, diventata progressivamente sempre più pervasiva. In tale contesto, l’essere umano è infatti sopraffatto dalla sensazione che la sua esistenza sia costantemente manipolata, al punto che anche le emozioni possano essere relegate unicamente nell’animo dell’individuo o, nei casi peggiori, cancellate.

Proprio per tale ragione, il concetto di utopia è alla base di tutte le aspirazioni libertarie e di tutte le forme di critica sociale verso situazioni di fatto, con l’obiettivo di alimentare il potenziale rivoluzionario di concezioni volte ad assecondare un bisogno di rinnovamento e un’aspirazione, tutta umana, verso qualcosa di migliore. Non a caso, lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano descriveva l’utopia “come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile.

La nascita di Pagani “Utopia”

E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare”. Nasce esattamente con questo spirito la nuova Pagani “Utopia”, una hypercar progettata e sviluppata dal Marchio emiliano con l’obiettivo dichiarato di rimettere al centro la semplicità stilistica e il piacere di guida tipiche delle vetture sportive degli Anni 50 e 60 del secolo scorso, rinunciando volutamente alle soluzioni tecniche attualmente più in voga nel segmento delle sportive di fascia premium, per offrire un’esperienza di conduzione pura e totalizzante.

Un impegno che ha richiesto sei anni di lavoro, quattro mila bozzetti, dieci modelli in scala uno a cinque, otto prototipi e 700 varianti testate in galleria del vento che nel loro insieme hanno permesso di dare vita a una vettura caratterizzata da un design che, seppur legato al dna del Marchio, segna una netta discontinuità rispetto alle antenate “Zonda” e “Huayra”, rinunciando quasi in toto alle ormai quasi abusate appendici aerodinamiche a favore di una struttura che incorpora nella carrozzeria le funzioni di tali gruppi.

Il risultato è una linea sinuosa e filante in grado di garantire in ogni condizione di marcia un elevato carico aerodinamico e una ridotta resistenza all’avanzamento, complice anche la presenza di fari carenati, di brancardi estremamente rastremati e di specchietti retrovisori che sembrano quasi sospesi a mezz’aria grazie al supporto a profilo alare che li distanzia dalla carrozzeria per garantire a quest’ultima una maggior penetrazione aerodinamica.

Al medesimo obiettivo guarda anche la presenza di cerchi forgiati integranti un estrattore in fibra di carbonio a forma di turbina che allontana l’aria calda dai freni e riduce le turbolenze sotto la carrozzeria, così da permettere all’impianto frenante carboceramico Brembo con dischi anteriori da 410 millimetri e posteriori da 390 millimetri di assicurare anche alle velocità più elevate una risposta immediata che si traduce in minimi spazi di arresto.

Massima efficienza aerodinamica quindi, indotta in particolare da un bilanciamento della deportanza spostato al 54 per cento al retrotreno grazie anche al lavoro dei due elementi superiori dell’ala posteriore i cui profili attivi e indipendenti l’uno dall’altro agiscono in sinergia con le sospensioni semi-attive a doppio braccio oscillante, realizzate in lega di alluminio di derivazione aerospaziale, per offrire i più elevati standard di aderenza nella guida dinamica nei percorsi misti. Una soluzione quest’ultima derivata peraltro dal sistema che equipaggia la versione da pista del modello “Huayra” e di conseguenza in grado di assicurare ai piloti di un’hypercar puramente stradale come “Utopia” la possibilità di fruire in piena sicurezza degli 864 cavalli erogati da un biturbo benzina V12 da sei litri di cubatura realizzato appositamente per Pagani da Amg, la divisione sportiva di Mercedes-Benz.

Privo di qualsiasi forma di elettrificazione, in controtendenza quindi rispetto a quanto proposto dalla maggior parte delle hypercar moderne, è stato scelto da Pagani nonostante ormai fosse fuori produzione, al posto del biturbo V8 da mille cavalli integrante una componente ibrida proposto da Amg, con l’obiettivo di contenere il più possibile il peso della vettura e, soprattutto, di poterlo far lavorare congiuntamente a una trasmissione meccanica a sette rapporti con ingranaggi elicoidali, disponibile in via opzionale anche in versione automatica, montata trasversalmente e dotata di frizione tridisco e differenziale a controllo elettronico per sopportare valori di coppia massima nell’ordine dei mille 100 newtonmetro. Ciò ha imposto ai tecnici Amg un lavoro di cinque anni per reingegnerizzare l’unità e per adeguarla alle normative ambientali più stringenti, un impegno che si è tradotto in un blocco motore del peso contenuto entro i 262 chili che all’atto pratico contribuisce a limitare la massa di “Utopia” a mille 280 chili, un valore inavvicinabile per una vettura ibrida.

Al raggiungimento di tale obiettivo molto concorre peraltro una monoscocca realizzata in carbo-titanio “Hp62 G2” e carbo-triax “Hp62”, due materiali che assicurano una rigidità torsionale superiore del dieci e mezzo per cento rispetto ai materiali compositi impiegati nella realizzazione della scocca che equipaggia il modello “Huayra”, così come la nuova fibra di carbonio classe A sviluppata appositamente per la carrozzeria offre il 38 per cento di rigidità in più a parità di densità rispetto agli analoghi materiali impiegati nella realizzazione delle più moderne hypercar.

L’esclusività dei materiali impiegati in fase costruttiva è stata inoltre trasposta dai tecnici Pagani anche negli interni che, pur conservando lo spirito delle vetture del Marchio emiliano, segna una rottura rispetto agli schemi ergonomici contemporanei abbandonando quasi del tutto le componenti digitali, a eccezione del display posto al centro del quadro strumenti, a favore di una plancia integrante comandi puramente analogici, dai pomelli del climatizzatore al pulsante di avviamento fino ai tasti per l’accensione e lo spegnimento dei fari antinebbia. Assente ovviamente anche lo schermo per il controllo del sistema di infotainment, in linea con lo spirito vintage e purista di un abitacolo incentrato su elementi di puro design, come la torretta con i leveraggi a vista della leva del cambio, il quadro comandi secondario orizzontale che richiama il settore dell’alta orologeria e le bocchette d’aerazione circolari quasi sospese rispetto alla plancia.

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Titolo: Pagani “Utopia”, nel futuro guardando al passato

Autore: Redazione

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